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La Rocca di Cittareale

La torre cilindrica, infatti, non presentando punti di discontinuità, permetteva di ampliare il campo delle visuali e del tiro e di resistere meglio all'attacco dell'ariete e delle grosse artiglierie da lancio ( nelle altre tipologie di torri gli angoli potevano essere più facilmente lesi) . Quindi, volendo riassumere, la torre a pianta cilindrica nasce nell'antichità, ma compare in forma diffusa solo verso la fine delle Crociate, quando emergono tutti i vantaggi legati alla forma circolare rispetto agli inconvenienti della struttura parallelepipeda delle primitive torri . In virtù delle sue prestazioni belliche, la torre a pianta circolare continua a essere adottata anche in seguito, fino a costituire, con l'avvento della dominazione angioina, un vero e proprio caposaldo del programma costruttivo reale. Sulla base delle considerazioni fin qui esposte, credo che, se la torre d'avvistamento del primitivo impianto fortificatorio di Cittareale fosse stata edificata ex novo in pieno Trecento per iniziativa dei regnati angioini e in parallelo alla fondazione del centro abitato, così come hanno ritenuto alcuni studiosi , essa avrebbe dovuto assumere una conformazione cilindrica, in seguito dotata di tutti gli accorgimenti difensivi sopra descritti, che trovarono larga adozione nell'organizzazione difensiva del Regno da parte della dinastia francese. Convengo, pertanto, con il Martella quando afferma che il complesso difensivo di Cittareale dovette in realtà assumere la sua originaria configurazione almeno nel Duecento, anziché nel Trecento. Ne consegue che, molto probabilmente, la massiccia torre triangolare doveva già essere presente nel territorio prima della fondazione del centro demico da parte degli angioini, che, ovviamente, non scelsero a caso quel luogo come caposaldo del loro programma difensivo del limes settentrionale del Regno. È lecita e comprensibile l'ipotesi che, al momento dell'edificazione di Cittareale, ci si sia avventurati anche in una ristrutturazione del locale complesso difensivo. Tuttavia, l'iniziativa dei regnanti francesi si sarà limitata, a mio avviso, solo a modernizzare la primitiva costruzione di avvistamento e di difesa, come nel caso di Montegualtieri, attraverso l'aggiunta nel coronamento, purtroppo perduto, di tutti quegli elementi architettonici che avrebbero permesso l'attuazione della difesa piombante e, magari, anche tramite contrafforti verticali, che solo un più approfondito scavo archeologico potrà - se effettivamente realizzati - portare alla luce. Queste congetture non trovano purtroppo sostegno nell'unica fonte iconografica conservata - il disegno del diploma di Ferdinando I d'Aragona -, dove non è traccia di un apporto architettonico riconoscibilmente angioino all'antica torre triangolare.

 

È altamente probabile, però, che questa lacuna sia ascrivibile alla noncuranza dello sconosciuto autore dello schizzo quattrocentesco per i dettagli, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione del coronamento sommitale della torre, piuttosto che all'atteggiamento passivo dei restauratori angioini. Anche se, comunque, non sono molto d'accordo con chi ha affermato che l'avvento angioino sia da intendere quale responsabile, in molti casi principale , della scomparsa di quanto, a livello strutturale, doveva caratterizzare la facies federiciana . Infatti, ad esempio, in Abruzzo gli interventi architettonici della Corona francese non sono facilmente identificabili rispetto al substrato svevo . A questo proposito il caso di Leonessa è di particolare interesse perché anche per questo centro ricerche di archivio hanno consentito di appurare un intervento diretto della Corona angioina, che, analogamente a Cittareale, si qualifica come promotrice vera e propria della fondazione dell'abitato. Le emergenze architettoniche a carattere militare di Leonessa si basano soprattutto sulla torre che sovrasta l'abitato, attribuita all'originario sistema svevo di difesa della rocca di Ripa di Corno. Di che tipo di impianto fosse quest'ultimo possono testimoniarlo ancora i resti che a diversa quota sembrano indicare la presenza di una cinta muraria che dalla torre scendeva lungo le dorsali fino alla base del monte Tilia e all'insediamento abitato: un castello-recinto di pendio, che grazie al forte scoscendimento del terreno, assicurava alla torre un'area di rispetto, isolandola completamente dal sottostante borgo. Nonostante siamo a conoscenza di una lettera del 4 aprile 1280, che Carlo invia al Giustiziere d'Abruzzo Guglielmo Brunello, sollecitandolo a recarsi con l'Angicourt a ispezionare i lavori di costruzione del Castrum di Ripa di Corno, che dovevano essere terminati con sollecitudine, l'identificazione dell'intervento angioino nel preesistente impianto federiciano è tutt'altro che agevole , proprio come accade nella struttura difensiva di Cittareale. Analogia questa molto importante, in particolar modo se non dimentichiamo la similarità anche nell'assetto fortificato che si registra fra i due centri. Una volta formulata l'ipotesi che il primitivo impianto fortificatorio cittarealese sia riconducibile al secolo XIII secolo e che, dopo la caduta della dinastia sveva, esso sia passato nelle mani della Corona angioina, rimane assai probabile che i nuovi regnanti abbiano voluto recuperare in tempi brevi l'efficienza dell'importante avamposto, in ragione della necessità di rafforzare la linea del confine con lo Stato della Chiesa, fondando un nuovo organismo urbano - Cittareale - e dotando la torre triangolare del primitivo "castello-recinto" dei tipici accorgimenti difensivi dell'epoca. Ma, mentre sembra ormai certo che Civitas Regalis fu edificata con decreto di re Roberto nel 1329, resta ancora un mistero l'identità del personaggio che provvide alla munizione di quest'area prima della fondazione angioina. Al riguardo mi piace rammentare che la Rocca di Cittareale è ricordata nella tradizione toponomastica locale come la "Rocca di Re Manfredi". A tale credenza cercò di dare fondamenta storiche il D'Andreis , giustificando l'idea di una fortificazione della zona da parte degli svevi sulla base della necessità di difendere una posizione strategica rispetto ai due accessi obbligati al Regno di Sicilia: «Non immemore di passate esperienze di invasioni e sorprese, re Manfredi, consolidato il potere in Sicilia e nel resto dell'Italia meridionale, volse lo sguardo agli estremi confini settentrionali del suo regno, difesi da poderose catene montuose, ma anche esposti ad invasioni improvvise attraverso i valichi che da Spoleto, lungo la valle Nurcia, portano alla valle del Velino nonché dai valichi che, risalendo il Tronto, si affacciano anch'essi alla valle del Velino attraverso il passo di Torrita lungo la storica Via Salaria. Così nacque su un poggio inespugnabile, a poca distanza dalle sorgenti del Velino, la Rocca turrita che Manfredi volle grandiosa e fornita dei più moderni mezzi difensivi consentiti dai tempi» . La convinzione che la Rocca non preesistesse alla fondazione di Cittareale (1329) si fondava sugli elenchi dei castelli e delle domus analizzati da Eduard Sthamer ma, a mio avviso, non si è tenuto innanzitutto conto del fatto che non si è assolutamente in condizione di poter precisare il numero dei castelli direttamente amministrati dalla Corona in età sveva: i castelli elencati nello Statutum de riparatione castrorum non si trovano mai tutti contemporaneamente nelle mani dell'imperatore e, per converso, dall'elenco ne mancano alcuni effettivamente sottoposti all'amministrazione curiale, tant'è che, ad esempio, non sono nominati nemmeno tutti i castra exempta.

  

In definitiva, anche se conosciamo epoca e modalità d'incameramento demaniale di molti castelli, non possiamo però stabilire con sicurezza quanti e quali castelli siano rimasti con continuità sotto l'amministrazione curiale in età federiciana. Per di più non sappiamo pressoché nulla per l'età di Manfredi: con la fine del governo di Federico II si apre per noi una grossa lacuna nella tradizione documentaria relativa all'amministrazione sveva dei castelli, riferita proprio al governo di Corrado e Manfredi. Questa preliminare considerazione dovrebbe già di per sé fornire una giustificazione alla mancata citazione della Rocca di Cittareale negli elenchi dei castelli del periodo svevo. Ma non escludo che il vero motivo della sua presunta assenza sia riconducibile non tanto al fatto che il complesso fortificato non esisteva ancora a quell'altezza cronologica, quanto alla nostra ignoranza in merito alla sua denominazione originale: la denominazione della zona prima della fondazione angioina di Cittareale, infatti, ci sfugge, e, del resto, non tutti i castra citati nelle liste del secolo XIII sono stati a tutt'oggi identificati. L'ipotesi che l'edificazione dell'impianto difensivo originario di Cittareale sia da riferirsi al Duecento nasce, oltre che dai caratteri non angioini della torre, anche e soprattutto dalla convinzione che il modello dell'impianto fortificatorio individuato nella zona sia da ascriversi proprio all'azione diretta di Federico II, ovvero sia riconducibile a precise direttive governative sveve. Mancando, allo stato attuale delle conoscenze, i termini per poter pensare a operazioni in qualche modo paragonabili a quelle che in Italia meridionale qualificano la straordinaria stagione dell'architettura federiciana , l'opinione più diffusa sulla natura dell'intervento di Federico II sul patrimonio castellare dell'Abruzzo Ulteriore è che si sia trattato di iniziative più che altro dirette a mantenere quanto già esistente , con misure indirizzate quasi esclusivamente al ripristino e alla ristrutturazione. Questo convincimento mi sembra opinabile, mentre mi sembra di poter condividere l'osservazione che: «.l'identificazione tout court delle più antiche espressioni dell'architettura militare federiciana con i grandi impianti castrali meridionali, non ha ancora incoraggiato, o meglio non ha fornito ancora i presupposti perché lo studio si indirizzi anche verso strutture per tipologia o funzione diversamente caratterizzate, o verso espressioni di quella che potremmo definire 'architettura militare minore'» . È il caso, ad esempio, di quell'impianto che, frequentemente utilizzato nel Duecento fra Umbria e Abruzzo − e, secondo la mia ipotesi, adottato anche nella prima configurazione di base del complesso difensivo cittarealese −, rende la denominazione di "castello-recinto": per le caratteristiche orografiche della regione e per la funzione soprattutto di controllo che la struttura era chiamata a svolgere, il "castello-recinto" richiederebbe una lettura tutta interna, che ne tracciasse le linee evolutive con parametri misurati sull'efficacia delle soluzioni adottate, piuttosto che in rapporto alle grandi realizzazioni d'apparato. Purtroppo la possibilità di leggere in chiave federiciana le strutture superstiti della Rocca di Cittareale appare frustrata dall'importante riedizione del fortilizio tra XV e XVI secolo, probabilmente voluta dagli aragonesi . Per districare quest'ingarbugliata matassa non resta, pertanto, che affidarci ai risultati che ci forniranno le attuali operazioni di scavo archeologico promosse dal Comune di Cittareale, miranti, appunto, all'approfondimento delle indagini conoscitive della Rocca, straordinario patrimonio storico-culturale non soltanto dei cittarealesi.

Da Falacrina dicembre 2006 di Antonella Sciommeri

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