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Chiesa di S. Antonio

Nel 165o Innocenzo X diede ordine di sopprimere tutti quei Conventi o Monasteri che non avessero rendite sufficienti al loro mantenimento. Fra questi fu incluso anche il convento di S. Antonio in Cittareale dei frati conventuali di S. Francesco «che fu edificato dalla fondazione di Civita Reale secondo la tradizione comune delli cittadini del luogo». Questo convento sorgeva là dove i trovava la caserma dei carabinieri e l'attuale casa canonica ed era collegato con la chiesa di S. Antonio da quell'arco che ancora si vede nella strada in cui sorgono i suddetti edifici. In quel tempo vi erano sei frati dei quali quattro sacerdoti e due laici i quali, in obbedienza alla bolla Pontificia, erano decisi ad abbandonare il loro convento. Il popolo ed il Consiglio generale fecero di tutto per impedire la loro partenza facendo generose offerte al Convento e continui reclami, sollecitazioni e petizioni presso la Santa Sede. Contenti invece della partenza dei frati erano l'arciprete e i canonici di Cittareale, in quanto al Convento e alla Chiesa di S. Antonio il popolo andava più volentieri per visite e funzioni che non alla Collegiata di S. Maria. E questa preferenza aveva già procurato un intervento della Corte di Napoli presso i conventuali affinché abolissero determinate funzioni. Tuttavia le famiglie più facoltose e più in vista riuscirono con le loro offerte ad ottenere la reintegrazione del convento. I Barberi, i Bricca, i Bucci, i Camponeschi, i Capparoni, i Carloni, i Ferrocci, i Gemma, i Mannetti, i Margarita, i Mastrelli, i Mattia, i Minnucci, i Pagliani, i Rinaldi, gli Scaletta, i Silvestri furono i più generosi e offrirono chi un terreno, chi un bosco, chi un prato, chi un albero, chi una bestia e chi del denaro. Le tre confraternite (o compagnie) del paese: la compagnia del cordone, quella della Madonna del Carmine, e, più forte di tutte, la compagnia dei bifolchi, si tassarono per una determinata cifra da devolvere al convento. Nel 1655 il Consiglio Generale dell'Università decise su proposta del primo Consigliere Ferrocci (i consiglieri erano 40) di disporre del testamento del Dott. Domenico Gentile in favore del convento. Interessante a tal proposito é la vertenza sorta per questa eredità, che durò 23 anni. Il testatore era morto il 23 luglio del 1632 lasciando tutti i suoi beni per la ricostruzione del monastero delle Monache di S. Pietro a condizione che in detto monastero entrassero gratis e si facessero monache due sue nipoti: Bernardina e Agnese Ferrocci. Vi era però la seguente postilla: «se per qualche impedimento non potesse essere rispettata la sua volontà lasciava il tutto in arbitrio dell'Università di questa terra a che ne disponesse in altre opere pie ... ». Iniziarono le pratiche di passaggio dell'eredità, ma l'arciprete di Cittareale, d'accordo con altri due sacerdoti riuscì « con raggiri ed estorsioni ad ottenere che detta eredità fosse in parte spesa per l'erezione di due canonicati e il resto per il mantenimento quotidiano dei preti di Cittareale in quanto le rendite non sarebbero state sufficienti a mantenere le monache in detto monastero ... ».

  

Il primo giudizio fu favorevole ai suddetti preti ed infatti il vescovo di Rieti nominò i due canonici «nelle persone di Don Giuseppe Perrottino e Don Carlo Scaletta ... ». Essi godettero di queste rendite fino a quando le due sorelle Ferrocci non ricorsero ad un supremo Tribunale Ecclesiastico Romano il quale condannò i suddetti preti alla scomunica e al confino in Civita Vecchia; assegnò a Bernardina e ad Agnese la somma di 300 scudi ciascuna e il rimanente della cospicua eredità (come da volontà del Gentile) andò all'Università di Cittareale a che ne disponesse in opere Pie. Il monastero delle monache rientrava in quelli da sopprimere così che il Consiglio preferì aiutare il convento di S. Antonio con i beni a disposizione ed in seguito anche con quelli di S. Giovanni delle Rose. Le due sorelle Ferrocci non rivestirono mai l'abito monacale, la lunga vertenza le tenne lontane dal Monastero, ed una di esse, sia pure in età avanzata, andò sposa ad un giovane del paese. Le rendite del Convento aumentarono sensibilmente e quindi caduta la ragione prima della soppressione inviarono i cittarealesi una supplica al Papa a che rivedesse il nuovo stato finanziario del Convento di S. Antonio ed esposero inoltre la situazione spirituale in cui si sarebbero venuti a trovare una volta partiti i frati. "Beatissimo Padre, L'Università e gli uomini di Cittareale genuflessi ai vostri piedi... espongono alla S. V. essere in detta terra un convento sotto l'invocazione di S. Antonio dei frati conventuali di S. Francesco che fu compreso nel numero dei soppressi in virtù della bolla fel. men. di Innocenzo X predecessore della S. V. con supposto non avesse entrate sufficienti alimentare il numero dei religiosi ... L'Università e i cittadini hanno sensibilmente aumentato con generose offerte le entrate del convento ... che andando via i frati tutto il contado si troverebbe a disagio per le confessioni, in quanto tutti i parroci e i sacerdoti sono nativi del luogo e quindi con gran numero di parenti ... perciò la supplichiamo con la dovuta sottomissione che constatato quanto esposto, si degni concedere la reintegrazione del convento la qual cosa sarà di sommo beneficio per le anime...".

  

Nel maggio del 1660, con lettera del Cardinale Spada, il Convento fu reintegrato e con un patrimonio cinque volte superiore a quello precedente. Nella supplica inviata al Papa tra le molte cose si dice che la popolazione avrebbe risentito spiritualmente della soppressione del convento in quanto sia i parroci che il cappellano e i canonici erano tutti nativi del luogo, quindi la maggiore parte dei fedeli preferiva recarsi al convento per le confessioni e di conseguenza assisteva là alle funzioni che tra l'altro erano molto più curate che non quelle della chiesa collegiata o di una delle altre 13 chiese che esistevano a quei tempi. Che i canonici fossero tutti di Cittareale é spiegato dal seguente fatto: l'incarico di Rettore Arciprete veniva dato a un sacerdote nominato dal Vescovo ma su proposta della famiglia Margarita di Cittareale, la quale aveva acquisito questo privilegio avendo arricchito di una consistente rendita la suddetta chiesa. Questo privilegio si estese, in un secondo tempo; anche alla famiglia Capparoni a cui fu portato in dote da una Margarita e notificato sul contratto di matrimonio. Un documento del 1683 riporta i nomi dei canonici di quegli anni: Rettore Arciprete di S. Maria in Piazza era don Pietro Marconi; Parroco di S. Vittorino e Vicario foraneo era Don Leonardo Capparoni; Parroco di S. Silvestro era Don Antonio Barberi; Cappellano di S. Giusta Don Matteo Mastrella, che era anche Canonico di S. Maria in Piazza. Inoltre altri sacerdoti in qualità di Canonici o Cappellani erano: Don Bartolomeo Telloni ; Don Pietro Valeri ; Don Pietro Paglione; Don Antonio Bucci ; Don Antonio Savi; Don Michelangelo Corsetti; Don Bernardino Ferrocci e infine, tornato dall'esilio, Don Carlo Scaletta. I suddetti sacerdoti, come si può notare dai cognomi erano tutti del luogo e appartenenti alle migliori famiglie della Valle. Delle Chiese di Città Reale e oltre al Santuario di Capo d'Acqua, tre erano chiese collegiate cioè con canonici, ed erano S. Maria in Piazza, S. Vittorino e S. Silvestro. Le altre erano semplici parrocchie o cappellanie con relative rendite. Purtroppo di molte di queste chiese al giorno d'oggi non é rimasto che il solo ricordo. S. Maria delle Cone e S. Rufo sopra a Cittareale, S. Pietro di Rota con annesso Monastero tra Ritunno e il Casco, S. Vittorino dove é sorto Vezzano, S. Matteo di Patrignone tra Marianetto e i Maciniri, S. Giovanni alle Rose, San Nicola sopra a Matrecciano, San Filippo e Giacomo nella zona delle Felette, Santo Spirito con annesso Ospedale sopra a Zauzza, San Pietro sopra a Conca, Santo Stefano tra Vetozza e Scanzano.

Tratto dal libro "Cittareale e la sua valle" di Antonio D'Andreis

 

 

 





 


 

 





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